Erano le 7:30 di sera, di quel Mercoledì 5 Settembre del 1945, quando, sfumate le ultime vibrazioni dei rintocchi, furono le stesse campane ad essere scosse di nuovo, ma questa volta da un inaspettato, fortissimo e potentissimo boato.
Il destino aveva riservato proprio agli Speronesi la più terribile delle sue nefandezze.
La Seconda Guerra Mondiale, con la capitolazione del Giappone e la sua firma di resa, da tre giorni era stata dichiarata ufficialmente finita. Finalmente tutto il mondo si preparava ad assaporare, dopo lutti e distruzioni, la gioia della pace.
Quel giorno, un po' per la tentazione di continuare a giocare, o un po' forse per capriccio per non essere stati accontentati nei loro desideri, si erano riuniti, come era solito, nonostante l'ora tarda, per andare a giocare ancora una volta in quel luogo che li attraeva tanto, il lagno, come un po' tutti i bambini fino a qualche anno fa. Un luogo quasi selvaggio, di curiosità e di avventure. E lì, nel rovistare tra le cose che la piena dell'acqua spesso portava e che, una volta prosciugata, emergevano in bella evidenza, furono attratti da un oggetto insolito, dalla forma strana e un po' luccicante.
Volevano aprirlo, ma non ci riuscivano, e così pensarono di disporsi intorno, a cerchio, per fare il loro gioco preferito: il tiro al bersaglio con le pietre. Ogni centro, a ogni colpo, un punto in più per il vincitore. Non ebbero il tempo di contare, e neppure di immaginare che quel gioco era stato organizzato e preparato per loro, non da bambini per bambini, ma da orchi malvagi.
Un tragico destino? Ma quella bomba, lì, non ce l'ha portato il destino. Ha viaggiato, un lungo viaggio, passando da una mano all'altra, da una nave ad un aereo, per essere sganciata lì con il desiderio, e la speranza, che facesse male, tanto male. Ci sono riusciti!
Il grande boato fece tremare le case, vibrare i vetri; tutti fuori, nei cortili, per cercare negli altri una spiegazione a quanto era successo. Negli occhi lo spavento e nella mente l'inizio di un presagio di ciò che di lì a poco si sarebbe rivelato: mancavano dei bambini. Lì non c'erano, ma c'era chi li aveva incontrati poc'anzi dirigersi proprio verso quel luogo che il boato aveva indicato. Il cuore a mille, la corsa e poi lo strazio. Nessuna cosa al mondo avrebbe più ridato a quelle mamme la gioia della vita rapita dagli occhi dei loro figli.
A 73 anni da quel tragico e terribile avvenimento, soltanto poche righe, in formato burocratico, nelle pagine del registro anagrafico dei defunti del Comune di Sperone, per registrarne la morte. Scolari, così sono indicati, e celibi, né dove e né come, il modello prestampato non prevede altro.
Qualcuno ha già ricordato che il loro nome è scritto sulla lapide dei caduti, ma da nessuno mai, incredibilmente, ne ho sentito raccontare la storia, neppure nei momenti di celebrazione.
Sei poveri scolaretti, forse sette, che nessuno più ricorda. Chi più di loro potrebbe, invece, insegnarci che la guerra è una nefandezza dell'umanità e non del destino?
La mattina del 6 Settembre, dopo una notte che tutti trascorsero in dolorosa veglia e sofferente strazio, l'applicato e Ufficiale dello stato civile Sabato D'Avanzo, insieme alle guardie comunali Stefano Napolitano e Francesco Mascolo, in silenzio e lacrimanti, erano già lì, nella Casa Comunale, ad attendere Davide Gragnani, delegato alla dichiarazione della loro morte, avvenuta nella "casa posta" in località Subaiano alle ore 19:30 del giorno 5 Settembre del 1945.
La guerra era finita e il mondo si apriva alla pace, ma quei poveri bambini non l'hanno mai saputo.
Soltanto 20 minuti, il tempo della registrazione all'anagrafe dei defunti, poi l'oblio.