Con questo primo contributo parte da oggi una nuova rubrica che si chiama “Guida sentimentale della Campania” che ci porterà a conoscere le bellezze del nostro territorio attraverso l’esperienza di chi conosce e ha visitato queste terre raccontandoci tutto quello che c’è da sapere e non mancheranno i contributi fotografici.
A CURA DI VALENTINA GUERRIERO
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Così Emilio Buccafusca descrive le nostre terre nel febbraio del 1946, nella Guida Sentimentale dei Monti del Sud, all’inizio delle pagine che ripercorrono la salita al Ciesco Alto avvenuta insieme ad altri quattro alpinisti napoletani. Buccafusca, il cui nome non a tutti dirà qualcosa, era una personalità poliedrica e probabilmente il massimo esponente del futurismo a Napoli, in stretto contatto con Marinetti. Nato a Casalnuovo nel 1913, era medico ortopedico, pittore, poeta, giornalista, scrittore e specialmente “alpinista”: iscritto al CAI di Napoli, partecipò fin da subito al neo fondato gruppo roccia della sezione e non di rado esercitò la sua professione di medico a titolo gratuito all’interno del Club Alpino Italiano quando si presentavano dei piccoli infortuni. La passione per le montagne si riflette continuamente nella sua produzione letteraria, tra le sue opere più importanti citiamo Aeropoema, Guida sentimentale ai monti del Sud e altri scritti di montagna e una vasta collezione di poesie, che molto spesso rispettano alla lettera i canoni futuristi, in cui disegno e parola si confondono (un esempio su tutti, “Cordata” del 1953, in cui la lettura della poesia, che deve avvenire dal basso verso l’alto, costeggia il profilo della montagna, come a simularne la scalata).
Lo stesso Buccafusca intitolò la raccolta sulla falsariga di altre guide sentimentali edite negli anni precedenti, tra cui Guide sentimental de l’étranger dans Paris (1878), Guida sentimentale di Mario Gromo (Torino, 1928), Guida sentimentale di Venezia di Diego Valeri, The Sentimental Journey Through France and Italy di Laurence Sterne e Viaggio sentimentale in automobile del tedesco Otto Julius Bierbaum (1902). Insomma, di certo non un nome nuovo, ma intriso di fascino sicuramente. Ritornando a Buccafusca, questa al Ciesco Alto non è l’unica delle ascese descritte dall’alpinista futurista dedicate ai nostri monti. Ve ne sono almeno altre due: “Al Vallatrone (1511) per campo di Summonte”, partendo da Baiano e “Dal rifugio di Verteglia al Terminio”, con partenza da Montella. In realtà gli scritti di questo tipo nella Guida sentimentale dei Monti del sud sono solo quattro, il quarto ed ultimo è dedicato alla salita sulla Conocchia e sul Pistillo da Castellammare (Monti Lattari). La restante parte del libro che ho citato, nell'edizione a cura di Pierroberto Scaramella, presenta altri scritti, tra cui il resoconto di un viaggio in treno lungo otto ore da Napoli a Roccaraso (Quel treno delle 0,40 del 1967), ed una sorta di testo teatrale, “Spigolo Sud“. |
I sentieri delle Creste sono sempre stati noti, ma non a tutti. Già nel ’46 Buccafusca descriveva gli avellani come degli abitanti che “concordemente ignorano le montagne che li sovrastano e quando non le disprezzano le guardano talvolta con terrore.” Una visione in parte sicuramente giusta ma estremizzata dal fatto che egli non conosceva in modo totale gli avellani e non sapeva che per molti di loro la montagna rappresentava una ricchezza e una fonte di approvigionamento. Il taglio del legno, il contrabbando del tabacco, il pascolo, le castagne e molte altre risorse (funghi, tartufi, more) permettevano alle persone di sopravvivere anche nei periodi più duri come negli anni a cavallo fra le due guerre o nell’immediato dopoguerra. Numerose sono le testimonianze di come la montagna “aiutasse” alla sopravvivenza, anche nelle cose più semplici. Ad esempio, racconta Rosa Biancardi (anni 83) di come la sua giovinezza fosse scandita da un ritmo dolce e faticoso in cui i giorni si susseguivano caratterizzati dalla sveglia prima dell’alba, quand’era ancora scuro, e di come lei e le sue sorelle capeggiate dal fratello raggiungevano la Bocca dell’Acqua (la si incontra sulla strada per il Campo di Summonte) per raccogliere “e’ falasce”, delle erbe particolarmente gradite al bestiame. In queste giornate, le ragazze portavano con loro per pranzo al massimo un pezzo di pane senza companatico, intere giornate di lavoro servivano solamente a procurare il cibo per le due o tre mucche che possedevano, cibo che avrebbero conservato per i giorni di pioggia o di maggiore difficoltà.
La montagna inoltre non era solo sopravvivenza, ma anche distrazione: alcune persone di Avella, non tutte ma sicuramente molte, erano solite nel fare lunghe passeggiate tra i monti, anche negli anni successivi. Ma se una porzione della popolazione amava ed ama tuttora le montagne per ciò che rendeva loro, un’altra sicuramente le ignora (e non neghiamo quanto sia vero), e questi, descrive Buccafusca, sono “scavezzacolli che a Nola e nei dintorni vanno alle partite di calcio e se l’arbitro non fila sono capaci di accopparlo”, riferendosi a coloro che non sono i discendenti diretti delle origini. Uno scritto quindi che riporta più di un riferimento alla città di Avella e al suo castello, sia una descrizione viva delle sue montagne.