Ore 7 di mattina. Resta un’immagine fissa in un dormiveglia confuso quella d’imbarcarsi per un’isola. Non lo facciamo. Al risveglio l’isola è scomparsa, sono scomparse le ore dell’alba e c’è una compiacente mattina ancora abbastanza ampia per fare quasi tutto quel che si vuole. Così dall’archivio delle “cose in sospeso” ripeschiamo il Piano di Lauro, o anche Piano di Laura, come è scritto nell’antica cartografia originale. E’ quel fazzoletto verde disteso dai monti che vedevamo dal Belvedere.
A CURA DI VALENTINA GUERRIERO
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Non ricordavo quasi nulla di questo tortuoso percorso incespicato nel bosco. Ero distratta dalle mie amiche anche loro bambine, e una aveva proprio il nome di Laura. Il piano di Laura. Il progetto di Laura. Laura aveva solo 3 anni ma era molto adatta a camminare, non mostrava alcun segno di fatica. Aveva i capelli lunghi e sottili con piccoli boccoli che non erano mai stati tagliati nei suoi tre anni di vita. Era magrissima e dai bei lineamenti. Sua sorella Anna, che era mia coetanea, voleva raggiungere l’oasi del WWF.
Mentre Anna chiedeva, Laura invece camminava, camminava imperterrita, senza dire niente. Il percorso sembrava lungo, ma la realtà è che eravamo distratti dai discorsi, dalla compagnia. Quando arrivammo c’era una grande piana solo per noi. L’erba era gialla e il cotone delle nostre tute anni ’90 aveva colori pastello che sembravano essere stati sbiaditi da un sole che nei miei ricordi era già andato via. Era sbiadita l’erba, le nostre felpe e oggi anche le fotografie. E all’imbrunire ogni cosa sembrava dolce in una giornata d’estate che non era calda ma fresca come un bicchiere di té alla pesca. Che sto dicendo? Non lo so, in fondo sono passati tanti anni e so solo che prima o poi alla piana di Lauro dovevo tornare, perché la verità è che non ricordavo molto di più del piacere di quella compagnia di tanti anni fa, che a volte, ciclicamente nel tempo, si ripeteva nei pressi di Montevergine e dell’Acqua delle Vene.
Esistono più modi per raggiungere il piano di Lauro/a, noi partiamo da Quattro Vie e percorriamo il sentiero dello Scalandrone, la stessa strada di allora. Il bosco di faggi è così fitto da non far quasi giungere la luce del sole, forse per questo nei miei ricordi la giornata era ombrosa. Si tratta di un percorso complessivamente in piano, ma fatto di saliscendi continui. Si passa, tra i vari punti, per la Porca del Pero, una delle Porche di Avella (parti della montagna così chiamate perché ricordano il dorso di un maiale). Tra un tratto e l’altro di salita e discesa appaiono spesso rocce imperiose, dai nomi incantevoli come Roccia delle Streghe, Ciesco del Brigante. Alcune hanno aperture che potrebbero ospitare, se sul Partenio ci fossero, un animale feroce. Ad esempio, un puma. Ma non c’è nessun puma qui, e un po’ me ne dispiaccio: in fondo essere sbranati da un puma sarebbe stata una morte meritevole, e qualche milione di anni fa dopotutto poteva anche capitare.
“Lo vogliamo assaggiare?” come prova di coraggio, masticarne un rametto. Meglio della roulette russa. Siamo nel bosco Acerone. Il cielo coperto, le rocce anguste, ci fanno giocare con la morte. D’altronde all’inizio in paese un abitante del luogo ci aveva raccontato, scherzando, ma non poi così tanto, di aver già pronto per sé il cassettino, in quel bel cimitero che affacciava sulla valle.
E’ qui che è stata scattata quell’antica foto del 1900. E’ una conca adornata di sassi disposti come cascate che si versano nel verde. Un gigante li ha rovesciati qua dentro, stanco di portarseli dietro. E’ una piana che un tempo si riempiva d’acqua, alcuni alberi a mezza altezza fanno da segnaposto a volerla risalire.
Approfondimenti sulle montagne di Guilin: http://www.meteoweb.eu/2013/07/alla-scoperta-di-guilin-cina-dove-le-montagne-ed-i-fiumi-sono-i-migliori-sotto-il-cielo/217888/
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