Giotto,L'Adorazione dei Magi, affresco (200x185 cm) databile al 1303-1305 circa e facente parte del ciclo della Cappella degli Scrovegni a Padova.
Come fonti delle scene cristologiche Giotto usò i Vangeli,
lo Pseudo-Matteo, il Protovangelo di Giacomo e la Leggenda Aurea di Jacopo da
Varazze.
La scena si svolge sotto un'impalcatura lignea simile a
quella Natività su uno sfondo roccioso. Maria, vestita da una veste rosso
inteso con bordature d'oro e da un manto di blu oltremare (quasi completamente
perduto), offre il figlio in fasce e coperto da una mantellina verde pastello
all'adorazione dei Re Magi, accorsi seguendo la stella cometa che si vede in
alto. Ciascuno ha i calzari rossi, simbolo di regalità. Il primo re, quello
anziano, è già inginocchiato ed ha deposto la sua corona in terra, mentre il
suo regalo è probabilmente il reliquiario d'oro tenuto dall'angelo a destra. Il
secondo re, di età matura, porta un corno colmo di incenso, mentre quello più
giovane una coppa di cui solleva il coperchio per mostrare l'unguento di mirra.
I tre doni simboleggiano rispettivamente la regalità del nascituro, la sua
santità e il presagio della sua morte (la mirra si usava infatti per profumare
i cadaveri). Dietro i Magi stanno due alti cammelli, gustoso dettaglio esotico
nuovo nell'iconografia, bordati di finiture rosse, raffigurati con spiccato
naturalismo e tenuti da due inservienti di cui solo quello in primo piano è
visibile.
Dietro Maria assiste san Giuseppe e i due angeli, di cui
uno, con estremo naturalismo, si trova in corrispondenza della trave della
capanna ed ha quindi il viso coperto. Un muto dialogo si svolge tra i volti dei
presenti, che intrecciano gli sguardi con grande naturalezza, evitando
qualsiasi fissità di matrice bizantina.
Alcuni dettagli sono legati alla quotidianità del Trecento,
come la struttura "moderna" della capanna o la foggia degli abiti,
come quello dell'angelo che ha la manica stretta ai polsi e larga ai gomiti.
Delicate sono le tonalità dei colori, che spiccano
sull'azzurro del cielo (in questo caso un po' danneggiato), armonizzandosi con
le altre scene della cappella.
Filippo Lippi, Natività con san Giorgio e san Vicenzo Ferrer
Filippo Lippi, Natività con san Giorgio e san Vicenzo Ferrer, tempera su tavola (146,5x156,5 cm) databile tra il 1455 e il 1466. Prato, Museo Civico.
Il soggetto dell'Adorazione del Bambino fu molto frequente
nella fase matura del pittore e le sue numerose varianti risalgono tutte al
periodo pratese (1452-1466). San Vincenzo Ferrer venne canonizzato nel 1455 e
da allora fu un importante modello nella cultura domenicana, come simbolo di
lotta all'eresia in difesa della Chiesa. Nel 1467 un incendio danneggiò la chiesa di San Domenico e
in quell'occasione la tavola venne probabilmente lesionata, richiedendo alcuni
reintegri che sono stati messi in luce in un recente restauro. Al centro si trova il Bambino con ai lati la Madonna e san
Giuseppe in adorazione; a sinistra san Giorgio anche lui in adorazione, mentre
sulla destra si trova la visione di san Vincenzo Ferrer del Cristo entro una
"mandorla" di luce. In secondo piano si trovano infine due pastori e
in fondo angeli. La composizione e il disegno generale sono quasi certamente
opera del Lippi, mentre ampie parti dell'esecuzione sono da ascrivere ad aiuti
di bottega (specialmente Fra Diamante), con l'eccezione della Madonna, il
Bambino e san Vincenzo, dipinti dal maestro. Come la Madonna della Cintola
infatti l'opera venne dipinta in più fasi anche distanti più anni l'una
dall'altra: una iniziale da parte del maestro ed altre di completamente da
parte della bottega, magari durante il periodo in cui il Lippi si trovava a
Spoleto (1467-1469). Per san Giuseppe sono stati fatti anche i nomi di
Filippino e di Botticelli.
Pietro Perugino, L'Adorazione dei Magi
Pietro Perugino, L'Adorazione dei Magi, dipinto olio su tavola (241 x 180 cm), , databile, a seconda degli studi, al 1470-1473 o al 1476 circa e conservata nella Galleria Nazionale dell'Umbria di Perugia.
La scena è impostata in maniera tradizionale, con la capanna
della Natività sulla destra e il corteo, non particolarmente lungo per il
formato verticale dell'opera, che si accalca sulla destra, secondo un andamento
orizzontale. Sullo sfondo, oltre il recinto del bue e l'asinello, si apre un
paesaggio di rocce e colline, che dimostra la conoscenza della prospettiva
aerea. A destra si trova la Vergine con il Bambino benedicente
sulle ginocchia, dietro la quale veglia san Giuseppe in piedi col bastone. A
sinistra il re più anziano si è già inginocchiato in adorazione, mentre gli
altri due, quello giovane e quello maturo, stanno porgendo cerimoniosamente i
loro doni. Il corteo è affollato da personaggi con fattezze che si ritrovano
poi anche in altre opere dell'artista (nonché in quelle della scuola umbra),
come il ragazzo col turbante e i giovani biondi in pose raffinate ed eleganti.
Pare che il giovane all'estrema sinistra possa essere un autoritratto
dell'artista. La Vergine col Bambino è affine nelle fattezze alla Madonna
Gambier Parry del Courtauld Institute di Londra, databile ai primissimi anni
settanta del XV secolo. L'aspetto generale dell'opera è fortemente legato alla
bottega di Verrocchio, dove l'artista fece il suo apprendistato, per il disegno
molto marcato delle figure e per alcuni esiti simili ad altre opere coeve di
artisti della bottega, che si giustificano con l'esistenza di modelli comuni. I
personaggi si affollano secondo un gusto ancora sommersamente tardogotico, e
sono robusti e massicci alla Fiorenzo di Lorenzo, pittore perugino forse primo
maestro del Vannucci. Manca ancora l'elaborazione di un ritmo nella
composizione, anche se è già accennato almeno nelle pose artefatte dei Magi in
piedi. L'integrazione tra figure e paesaggio è derivata da Piero della
Francesca, sebbene con un linguaggio più accattivante e colloquiale, mentre il
linearismo del Verrocchio viene depurato dei suoi tratti più nervosi ed
espressionistici. Numerose sono le citazioni "famose", come l'albero
in sezione aurea alla Piero della Francesca (Battesimo di Cristo, 1440-1460), o
il paesaggio leonardesco, e dimostrano una volontà di "esercitarsi"
di un giovane, piuttosto che l'affermazione di un proprio stile da maestro
affermato. Sono d'altra parte già presenti alcune caratteristiche che
diventeranno tipiche dello stile di Perugino: il giovane col turbante, molto
frequente in opere successive, o i tipi biondi raffinati ed eleganti, destinati
a diventare uno degli elementi più ricorrenti della pittura umbra.
Gentile da Fabriano, L'Adorazione dei Magi
Gentile da Fabriano, L'Adorazione dei Magi (o Pala Strozzi), tempera e oro su tavola (173x228 cm con cornice 303x282), datato 1423 e conservato agli Uffizi di Firenze.
La pala non rappresenta un'unica scena ma racconta tutto il
cammino dei tre saggi orientali che seguirono la stella cometa per giungere al
cospetto di Gesù bambino. La narrazione ha inizio nelle tre lunette, da
sinistra, dove si vedono i tre Magi, vestiti d'oro, che vedono la stella cometa
dall'alto del monte Vettore, raffigurato come una rupe a picco sul mare; subito
il corteo si mette in moto ed arriva, nella lunetta centrale, nei pressi della
città di Gerusalemme, dipinta in un paesaggio incantato di campi coltivati e
boschetti fioriti; infine si vede l'entrata nella città. Completamente inedito per Firenze doveva risultare il tono
del corteo, che assomiglia più a un gruppi di eleganti aristocratici a una
battuta di caccia che a una scena religiosa.
Il corteo riappare quindi da destra ed occupa tutta la metà
inferiore del dipinto. A sinistra si trova il punto di arrivo della grotta della
Natività dove si è posata la cometa luminosa e dove si trovano il bue e
l'asinello davanti alla mangiatoia. Davanti al riparo di una capanna diroccata
si trovano san Giuseppe, la Madonna assisa col Bambino e due servitrici.
Davanti al Bambino si stanno inginocchiando i tre Magi: il primo, quello
anziano, ha già deposto la corona ai piedi della Sacra Famiglia ed è prostrato
a ricevere la benedizione del Bambino; il suo dono è già tra le mani delle
servitrici; il secondo, di età matura, si sta per accovacciare e con la mano
destra sta sfilandosi la corona, mentre con la sinistra tiene il calice dorato
del suo dono; il terzo è appena sceso da cavallo, un servitore gli sta infatti
ancora smontando gli speroni, ma con lo sguardo guarda già il bambino e tiene in
mano un'ampolla d'oro da donare. I tre Magi, sono rappresentati nelle tre età
dell'uomo: giovinezza, maturità e vecchiaia. I loro vestiti sono di incredibile
sfarzo, con broccati d'oro finemente arabescati, copricapi sfavillanti e
cinture con borchie preziose, ottenute a rilievo tramite punzonature e
applicazioni.
Dietro di loro, in posizione centrale, si trovano due
personaggi due ritratti ben riconoscibili: l'uomo col falcone in mano, dal
vestito più ricco dopo quello dei Magi (un damasco con disegni vegetali, ma
privo di dorature) è il committente Palla Strozzi, mentre quello accanto a lui,
che guarda verso lo spettatore, è probabilmente il suo figlio primogenito
Lorenzo, anche se Vasari indicava al suo posto un autoritratto di Gentile,
improbabile in una posizione così preminente, inoltre l'indicazione agli artisti
di evidenziare i propri ritratti dipingendosi con lo sguardo rivolto lo
spettatore è leggermente più tarda, contenuta nelle opere di Leon Battista
Alberti. Le tre cuspidi sono decorate da un tondo, al centro, e da due profeti sdraiati ai lati, mentre in alto si trovano dei più semplici cherubini. Sulle piccole monofore dei lati della cornice, Gentile rappresentò una serie di bouquet floreali, rappresentati con freschezza di osservazione, uno diverso dall'altro. Vi si riconoscono: crochi, giaggioli, gigli, convolvoli e borragini. La predella è composta da tre scomparti rettangolari, che mostrano (da sinistra) la Natività, la Fuga in Egitto e la copia della Presentazione al Tempio (l'originale è di proprietà del Louvre dal XIX secolo). La Natività è ambientata di notte, nella stessa ambientazione della pala centrale: a sinistra si scorge infatti lo stesso edificio rosato, dove le due ancelle di Maria riposano sotto un arco: una dorme con la testa girata verso il fondo, l'altra è sveglia e sbircia la scena centrale, in cui il Bambino appena nato emette un bagliore di santità che rischiara tutto: Maria inginocchiata in adorazione, il bue e l'asinello a semicerchio e san Giuseppe che, come da schema tradizionale, è addormentato e un po' in disparte, a sottolineare il suo ruolo di semplice protettore di Maria e Gesù, senza un ruolo attivo nella nascita. Di grande sensibilità luministica è l'illuminazione dal basso del tettuccio davanti alla porta dell'edificio e della caverna, o delle ombre che coprono solo metà del tetto sotto il quale le ancelle sono riparate. Un'analoga sensibilità rischiara solo alcuni dei rametti dell'alberello a cui è appoggiato Giuseppe. Sullo sfondo a destra un'altra apparizione luminosa, in questo caso angelica, domina l'episodio dell'annuncio ai pastori; il resto del brullo paesaggio montuoso è in ombra, sotto un cielo stellato che mostra una precoce sensibilità atmosferica, nel chiarore che inizia ad emergere vicino all'orizzonte. In alto a sinistra si scorge anche uno spicchio di luna. La Fuga in Egitto è ambientata in un ricco paesaggio, con gli stessi protagonisti: Maria col Bambino, in sella a un asinello, Giuseppe che fa da guida e le due ancelle dietro. Se i personaggi centrali hanno come quinta una montagnola appositamente creata, ai lati il paesaggio si dilata a perdita d'occhio. Il cielo limpido sovrasta una giornata estiva, illuminando la frutta negli alberi, le cime montuose, i castelli e le città, tra cui quella fiabesca a destra, tutta composta da cupole, torri, campanili ed altri edifici dagli irreali colori pastello, che qualcuno ha definito "di marzapane"[2]. La strada è ghiaiosa, con i ciottoli dipinti uno per uno e tutta la scena sembra risplendere in un pulviscolo dorato, che deriva dai raggi del disco solare, completamente d'oro, in alto a sinistra. I pilastrini sono decorati da fessure polilobate in cui sono rappresentati vari fiori e piante, indagati col piglio naturalistico tipico dell'artista. Essi hanno forme intricate e brulicanti, come tipico delle opere della fase matura dell'artista, al posto dell'ordinata serie di fiorellini dei dipinti giovanili. Per meglio rendere l'effetto di realismo, l'artista dipinse spesso foglioline e qualche infiorescenza direttamente sulla cornice, come se sporgessero dai trafori, secondo uno schema altamente illusionistico.
Lorenzo Monaco, L'Adorazione dei Magi
Lorenzo Monaco, L'Adorazione dei Magi, tempera su tavola (115×183 cm), datata 1420-1422, Uffizi di Firenze.
L'opera è concepita in maniera originale, come un'unica
grande rappresentazione con un ridotto uso del fondo oro, ormai quasi fuori
moda. La cornice però richiama ancora la forma del trittico, con le cornici
degli archetti che invadono la parte superiore della scena. A sinistra si trova
la capanna della Natività, costruita come un palazzetto con un cortile a arcate
(dove stanno il bue e l'asinello) dalla prospettiva antinaturalistica, alla
maniera di Giotto, probabilmente un effetto arcaicizzante voluto, in risposta
alla "fredda" prospettiva matematica di Brunelleschi e Masaccio. La
Madonna, avvolta in un manto blu notte con fodera dorata, sta seduta su una
roccia con le gambe distese e mostra il Bambino agli astanti; sulla sua veste
(capo e spalle) si trovano le tre stelle simbolo di verginità. San Giuseppe
siede invece nell'angolo in basso a sinistra e guarda in alto. Le parti
centrale e destra sono occupate dal fiabesco corteo dei Magi. Essi sono in
primo piano al centro ed hanno già deposto le corone, che si trovano in terra
(due) e in mano al servitore con la spada e il vestito violetto (una); il primo
e il terzo, rispettivamente quello anziano e quello giovane, sono già
inginocchiati e il Magio dalla barba bianca sta contemplando il Bambino ai
piedi del quale ha già deposto il suo regalo; il Magio di età matura sta invece
ancora in piedi tra i due compagni, con in mano una preziosa ampolla e,
nell'altra, un lembo della veste che viene rovesciata mostrando la fodera
argentea; lo sguardo è fisso sul Bambino. Essi, diversamente dalla tradizione
evangelica che li voleva tutti anziani, compongono le tre età dell'uomo. Nel corteo sono presenti i più disparati tipi umani (dai
tartari ai mori), abbigliati da vesti dai colori sgargianti e da cappelli dalle
fogge originali ed esotiche. I due cavalieri con turbante in primo piano hanno
i corpi sinuosamente allungati e piegati all'indietro, in modo da creare un
gioco di linee ritmato, che crea un effetto di grande raffinatezza. All'estrema
destra si trovano dei partecipanti ancora a cavallo, con un cammello e un
levriero da caccia, mentre stanno chiedendo la via e un passante indica loro la
stella cometa, che non è altro che il gruppo di angeli luminosi fermatosi
davanti alla parete della capanna. In alto si trova un paesaggio di rocce
spigolose (derivate da Giotto), sulle quali si erge uno spinoso castello e, al
centro, avviene l'annuncio ai pastori ad opera di un altro angelo luminoso,
dipinta sapientemente in monocromo per dare l'effetto notturno. Alcune notazioni esotiche sono le scritte in arabo antico
sui manti del Magio in piedi e su quello della figura a lui vicina.
Masaccio, La Adorazione dei Magi
Masaccio, La Adorazione dei Magi, tempera su tavola (21x61 cm) proveniente dallo smembrato polittico di Pisa ed oggi conservato nei Musei statali di Berlino. Risale al 1426.
L'opera, faceva parte della predella nello scomparto
centrale, sotto la Maestà oggi alla National Gallery di Londra. La scena
dell'Adorazione dei Magi è presentata come di consueto di profilo (solo Sandro
Botticelli rinnoverà questa iconografia), e sembra dipinta per contrastare la
celebre Adorazione di Gentile da Fabriano, che nel 1423 aveva incantato i
fiorentini. La composizione di Masaccio è pacata e simile a un fregio,
in contrapposizione con l'affollata e sontuosa "frivolezza" di
Gentile. A sinistra si vede la capanna, dove il bue e l'asinello stanno di
spalle, accanto a una cavalcatura per il dorso dell'asino. Subito dopo si vede
la Sacra Famiglia, con le aureole scorciate in prospettiva. Maria è seduta in
un seggio dorato con protomi e zampe leonine (il faldistorio con le teste
leonine imperiali), e tiene in braccio il Bambino che benedice il primo dei
Magi, il quale è già inginocchiato e tolto la corona deponendola in terra; il
suo dono è già nelle mani di san Giuseppe. Dietro di lui sta un altro Magio con
tunica rosa, la cui fisionomia assomiglia molto a un personaggio nell'affresco
del San Pietro risana gli infermi con la sua ombra nella Cappella Brancacci;
esso si è intanto inginocchiato e la sua corona è nelle mani di un servitore.
Il terzo Magio è appena arrivato, è in piedi e un servo gli sta togliendo la
corona, mentre un altro ne porta il dono. Dietro i re si trovano due personaggi
emblematici, non presi dall'iconografia tradizionale, vestiti di cappelli alla
moda dell'epoca e da lunghi mantelli grigi, che lasciano scoperte le gambe
coperte da calzamaglie. Si tratta probabilmente delle figure dei committenti:
il notaio ser Giuliano di Collino, più alto in secondo piano, e suo nipote, più
basso e in primo piano, posto sopra una montagnola del terreno. A destra stanno infine i cavalli e i servitori, tra i quali
si scorge qualche affinità sia con Gentile (il cavallo con la testa in scorcio
in lato), sia con altre opere come l'Adorazione di Nicola Pisano scolpita nel
pulpito del Battistero di Pisa (1260 circa), come il cavallo intento a
pascolare. Lo stile della pittura è a tratti morbido e sfumato, come
nello sfondo, a tratti forte e incisivo, come nei mantelli dei due committenti.
In ogni caso la luce e la ricca cromia unificano tutta la rappresentazione,
senza squilibri.
Caravaggio, Natività con i Santi Lorenzo e Francesco d'Assisi
Michelangelo Merisi da Caravaggio, Natività con i Santi Lorenzo e Francesco d'Assisi, olio su tela. Oratorio di san Lorenzo, Palermo. Trafugato la notte tra il 17 ottobre e il 18 ottobre 1969 e non è stato mai più recuperato. Al momento del furto, anche grazie al restauro del 1951, era in condizioni di conservazione pressoché perfette.
La tela racconta la nascita di Cristo, traducendo un realismo autentico che rende l'episodio "vero". I santi, le madonne del Caravaggio hanno le fattezze degli emarginati, dei poveri che egli bene aveva conosciuto durante il suo peregrinare e fuggire in lungo e in largo per l'Italia.
Nella “Natività” palermitana ogni personaggio è colto in un atteggiamento spontaneo: san Giuseppe ci volge le spalle ed è avvolto in uno strano manto verde. Sicuramente molto giovane rispetto all'iconografia tradizionale, dialoga con un personaggio che si trova dietro la figura di san Francesco, che alcuni critici pensano possa essere fra' Leone. La presenza di san Francesco è sicuramente un tributo all'Oratorio, che all'epoca era passato alla Venerabile Compagnia a lui devota costituitasi già nel 1564. La figura a sinistra è san Lorenzo.
La Madonna, qui con le sembianze di una donna comune, ha un aspetto estremamente malinconico, e forse già presagisce il destino del figlio, posto sopra un piccolo giaciglio di paglia. La testa del bue è chiaramente visibile, mentre l'asino si intravede appena. Proprio sopra il Bambino vi è infine un angelo planante, simbolo della gloria divina. Ciò che conferisce particolare drammaticità all'evento è il gioco di colori e luci che caratterizzano questa fase creativa del pittore.
Pietro Perugino, l'Adorazione del bambino
Pietro Perugino, Adorazione del Bambino, (264x225 cm), Collegio del Cambio, Perugia
La Natività o Adorazione del Bambino (264x225 cm) sintetizza
un'allegoria della Carità. Anche in questo caso la scena è impostata attingendo
al repertorio dei lavori precedenti dell'artista, in particolare la perduta
Natività della Cappella Sistina, con le figure principali avanzate in primo
piano, e il tema del portico centrale che conduce lo sguardo dello spettatore
in lontananza, verso un sereno paesaggio lacustre. Il Bambino si trova disteso
a terra tra san Giuseppe e la Madonna in adorazione, mentre dietro di lui si
trovano alcuni pastori inginocchiati, i cui bastoni fanno convergere le linee
di forza verso il bambinello. A sinistra si trova poi nello sfondo un altro
gruppo di pastori con gregge, e a destra il bue e l'asinello. In alto, sotto le
arcate, tre angeli cantano inni, come riportato nell'iscrizione in lettere
dorate · GLORIA IN EXCELSIS DEO ·.
La scena presenta affinità con la Crocifissione della
Confraternita di Sant'Agostino dipinta da Raffaello diciassettenne, in
particolare nei tre angeli e nel paesaggio. Nelle figure principali è presente
un ispessimento dei contorni e una resa dei volumi più plastica che hanno fatto
pensare a un intervento del giovane aiuto di Perugino, divenuto poi uno dei più
grandi maestri dell'arte italiana. Questa saldezza plastica manca ad esempio
nell'Adorazione dei Magi di Città della Pieve, dipinta dal Perugino nel 1504.
Pietro Perugino, l'Adorazione dei Magi
Pietro Perugino, L'Adorazione dei Magi, affresco (650x700 cm) , databile al 1504, Oratorio di Santa Maria dei Bianchi a Città della Pieve.
L'opera venne eseguita ricorrendo a schemi già consolidati, con una grande architettura, in questo caso la capanna, che inquadra le figure principali facendo da tramite con lo sfondo, un dolcissimo paesaggio di colline digradanti punteggiate da alberelli frondosi. Fa da perno alla composizione la Madonna col bambino, a cui i magi ai lati offrono doni, circondati dalla moltitudine del corteo esotico dei loro accompagnatori. A destra si vede san Giuseppe e dietro il bue, l'asinello e alcuni pastori. In alto vola un angelo che porta l'annuncio della stella cometa.
L'opera è spesso confrontata con l'Adorazione del Bambino della Sala delle Udienze del Collegio del Cambio a Perugia, opera del Perugino e aiuti, dove è presente una maggiore forza plastica, da alcuni attribuita alla mano del giovane Raffaello. Nell'Adorazione di Città della Pieve invece le figure sono meno salde e la stesura pittorica è più tenera e morbida.
Sandro Botticelli, Natività mistica
Sandro Botticelli, La Natività mistica, olio su tela (108,5x75 cm) datato 1501, National Gallery di Londra.
Il titolo di Natività mistica è stato assegnato dalla
critica moderna per sottolineare il complesso simbolismo della scena.
Il soggetto della tavola è la natività di Cristo,
interpretata come un'adorazione del Bambino da parte di Maria, dei pastori e
dei Magi tra cori angelici. Al centro si trova la grotta della natività, forata
sul dietro per lasciar intravedere il bosco e coperta da una tettoia di paglia
retta da tronchi, con il Bambino al centro su un giaciglio coperto da un telo
bianco, la giganteggiante Vergine a destra e l'adorante e meditante Giuseppe a
sinistra; dietro si vedono il bue e l'asinello, simboli tradizionali di ebrei e
pagani che assistettero all'evento senza prendervi parte.
Il resto delle figure è disposto in maniera strettamente
ritmica, generando simmetrie e andamenti che hanno la cadenza di un balletto. A
sinistra un angelo vestito di rosa accompagna i tre re Magi; a destra uno
vestito di bianco indica il Bambino a due pastori. Entrambi tengono in mano
rami d'ulivo, simbolo di pace. In basso, ai piedi di un sentierino tra rocce
scheggiate, tre gruppi mostrano l'abbraccio e il bacio di comunione tra angeli
e personaggi laureati, quindi virtuosi, mentre sul terreno cinque diavoletti
fuggono spaventati trafiggendosi coi loro stessi forconi e ricacciandosi nelle
profondità attraverso le crepe del suolo: si tratta probabilmente di una
visione profetica della liberazione dell'umanità dal male.
Sopra la tettoia tre angeli, con le vesti che ricordano i
colori delle tre Virtù teologali (da sinistra bianco per la Fede, rosso per la
Carità e verde per la Speranza) intonano un canto reggendo un corale tra le
mani. Più in alto, oltre il boschetto che circonda la grotta, fatto di
slanciati alberelli disposti a semicerchio, e il cielo azzurrino, si apre un fulgido
brano di paradiso, su fondo oro, dove un gruppo di dodici angeli inscena un
vorticoso carosello tenendosi per mano e reggendo rametti d'ulivo a cui sono
appesi nastri svolazzanti e corone. Questo fantastico girotondo venne
probabilmente ispirato da una reale sacra rappresentazione messa in scena da
Filippo Brunelleschi in San Felice in Piazza. Si tratta di una ricreazione
dell'Annunciazione, in cui dei fanciulli stavano sospesi nel vuoto, sostenuti
da una struttura dorata a forma di cupola, simulando un coro angelico. Questo
tipo di rappresentazione ebbe un successo tale che venne a lungo replicata per
cui non è escluso che Botticelli l'avesse potuta osservare direttamente.
L'opera combina il tema della nascita di Cristo con quello
della sua seconda venuta, cioè il ritorno sulla Terra prima del Giudizio
Universale come promesso nel Libro della Rivelazione. In quell'occasione si
assisterà alla completa riconciliazione tra gli uomini e Dio, come sembrano
preannunciare le figure abbracciate in primo piano. Oppure le tre coppie
potrebbero indicare i mezzi per vincere la presenza del male, ovvero la
fratellanza e, tramite l'esempio degli angeli, la preghiera.
La tavola è caratterizzata da colori squillanti ripetuti
ritmicamente (come nelle vesti alternate degli angeli) e da una disposizione
estremamente libera delle figure, ormai lontana dalla rigida geometria
prospettica della cultura fiorentina del primo Quattrocento. Numerosi sono gli
elementi arcaizzanti, a partire dal fondo oro, per proseguire con le
proporzioni gerarchiche, che rimpiccioliscono gli angeli rispetto alla Sacra
Famiglia, fino alla presenza dei cartigli legati ai rami d'ulivo.
Lo spazio invece appare notevolmente dilatato, grazie allo
stratagemma di aprire un varco nella grotta e di disporre i personaggi su più
piani, che aumenta il senso di profondità. Se forti sono le simmetrie e i ritmi
di fondo, nel dettaglio gli atteggiamenti dei personaggi sono i più vari e
creano un dinamismo che non manca mai nelle opere dell'artista. Forte è la
componente visionaria, che contraddice però proprio questa attitudine a forme
conservatrici, dal cui contrasto scaturisce la particolarità del dipinto.
Filippino Lippi, L'Adorazione dei Magi
Filippino Lippi, L'Adorazione dei Magi, tempera grassa su tavola (258x243 cm), data 1496,Galleria degli Uffizi, Firenze.
La tavola si rifà abbastanza fedelmente a quella di
Botticelli sempre agli Uffizi (1475 circa), da cui riprende lo schema
compositivo con la capanna al centro e i personaggi disposti ai lati su due
quinte che sfumano prospetticamente. Come nell'Adorazione di Botticelli Filippino imitò gli
intenti celebrativi della casata medicea, in particolare del ramo
"Popolano", che proprio in quegli anni, con la cacciata di Piero il
Fatuo, si voleva proporre come aspirante a ricoprire il ruolo di guida della
città svolto fino ad allora dal ramo "di Cafaggiolo". I vari Magi
alludono a personaggi della famiglia in una sorta di successione dinastica: il
re anziano è Lorenzo il Vecchio de' Medici, dietro cui sta, in posizione
preminente, suo figlio Pierfrancesco, vestito riccamente con un manto giallo
bordato d'ermellino e con in mano un astrolabio, allusione alla sapienza
astronomica e astrologica dei Magi; seguono i due nipoti e fratelli Lorenzo
(vestito di rosso) e Giovanni il Popolano (vestito di verde foderato rosso),
rappresentati come gli altri due magi, uno nell'atto di sfilarsi la corona
(anche se sembra quasi farsela mettere, simbolicamente) e l'altro nell'atto di
offrire un prezioso dono. Il personaggio in primo piano a destra, che sembra
presentare la Sacra Famiglia agli osservatori, è Piero del Pugliese, probabile
intermediario tra i monaci, Filippino e i Medici. Come nel modello Botticelliano, ma anche in quello di
Leonardo, alla base della composizione sta la piramide tridimensionale che ha
come vertice la figura di Maria col Bambino e come lati della base le due
figure inginocchiate. Innegabile è inoltre l'influenza dell'arte fiamminga, ben
visibile nell'attenzione al dettaglio e alla resa luminosa, in particolari come
la pergola sfilacciata e coperta di paglia della capanna, che a destra è
sorretta da un rudere antico con due mozziconi di muro, che alludono alla
venuta di Cristo che si fondava sulla tradizione di ebrei e pagani. Sullo sfondo si vede un luminoso paesaggio di colline dalle
forme fantasiose, con speroni rocciosi e con un piccolo lago, sulle cui rive
sorge una popolosa città. I numerosi personaggi e cavalieri che vi si trovano
sparsi (alcuni anche particolarmente esotici, come il gruppo coi cammelli)
puntano tutti verso la stella cometa, sospesa sopra la capanna nel limpido
cielo, insistendo ulteriormente sul significato dell'Epifania. Se nel dolce
sfumato degli elementi che schiariscono in lontananza nella foschia Filippino
ha in mente l'esempio di Leonardo, l'impostazione serena di queste figurine
contrasta con le zuffe dello sfondo della prima Adorazione per San Donato in
Scopeto.
Sandro Botticelli, L'Adorazione dei Magi
Sandro Botticelli, L'Adorazione dei Magi, tempera su tavola (111x134 cm), databile al 1475 circa, Galleria degli Uffizi, Firenze.
Il dipinto fu commissionato da Gaspare di Zanobi del Lama,
sensale dell'Arte del Cambio fiorentina e cortigiano della famiglia dei Medici,
per la sua cappella funebre in Santa Maria Novella. Essendo un banchiere, la
sua attività di intermediazione finanziaria che ricavava denaro dal denaro era
vista in maniera non troppo onorevole all'epoca, poiché letta secondo la
mentalità medievale che la bollava come peccato di usura. Per questo i
banchieri assolvevano ai loro sensi di colpa dedicando una parte dei loro
guadagni ad opere di bene e a commissioni artistiche dedicate ai loro santi
protettori, che riequilibrassero il loro "debito" con la società.
Botticelli introdusse con quest'opera una grande novità a
livello formale nel frequentatissimo tema dell'Adorazione, ossia la visione
frontale della scena, con le figure sacre al centro e gli altri personaggi
disposti prospetticamente ai lati; prima di questa infatti, si usava svolgere
la scena in maniera orizzontale, con la Sacra Famiglia a un'estremità e i Magi
col proprio seguito che procedevano verso di essa dispiegandosi essenzialmente
sul primo piano in una sorta di corteo, uno dietro l'altro, ricordando l'annuale
rievocazione della cavalcata dei Magi, una rappresentazione sacra che si teneva
per le vie fiorentine. Il prototipo potrebbe essere stata una scena della
predella dell'Annunciazione di Beato Angelico, ma nessuno aveva mai usato
questo schema su una pala di grandi dimensioni.
Il nuovo schema introdotto da Botticelli venne ripreso
abbastanza fedelmente da Filippino Lippi (Adorazione dei Magi degli Uffizi) e
da Leonardo da Vinci (un'altra Adorazione sempre agli Uffizi).
Al centro, in posizione ingegnosamente rialzata, si trova la
capanna diroccata della natività, composta da una roccia, un tetto ligneo retto
da alcuni tronchi issati e da una parete a angolo in rovina, richiamo
all'antichità perduta ribadito anche dagli edifici crollati a sinistra. La Vergine
col Bambino, vegliata da dietro da san Giuseppe, viene a trovarsi al vertice di
un triangolo ideale a cui mirano le linee prospettiche delle quinte laterali e
lo scalare dei personaggi disposti. Dal vertice di questo triangolo un moto
ascensionale sposta l'occhio dello spettatore verso l'altro, tramite la figura
di Giuseppe, fino alla luce divina che spiove dall'alto. Un pavone, appollaiato
a destra, simboleggia l'immortalità, poiché fin dall'antichità le sue carni
erano ritenute immarcescibili.
I tre Magi, che come al solito rappresentano le tre età
dell'uomo (gioventù, maturità e anzianità) si trovano in posizione centrale.
Quello più anziano è inginocchiato in adorazione del Bambino ed ha già deposto
il suo dono ai piedi della Vergine, mentre il secondo e il terzo attendono il
loro turno davanti, di spalle, con i loro preziosi doni ancora in mano, mentre
le corone sono già state deposte (una si vede davanti a quello vestito di
bianco).
Il committente si trova in posizione defilata nel gruppo di
destra, vestito di azzurro con capelli bianchi corti. All'estrema destra il
giovane in primo piano che guarda verso lo spettatore, con un ampio mantello
arancione, sarebbe un autoritratto dello stesso Botticelli.
Il segno è sciolto e vigoroso, dimostrando la raggiunta
maturità dei mezzi espressivi dell'artista, il tono dei personaggi è fiero e al
tempo stesso malinconico, che dà all'insieme l'aspetto di meditazione fiabesca
tipica della sua migliore produzione. L'ambientazione è caratterizzata dai toni
atmosferici: la luce dorata del crepuscolo, che lega tra loro i vari elementi,
riesce a dare l'impressione della circolazione dell'aria.
Le rovine alludono a un episodio della Leggenda Aurea di
Cristo, secondo cui l'imperatore Augusto, che si vantava di aver pacificato il
mondo, incontrò un giorno una Sibilla che gli predisse l'arrivo di un nuovo re,
che sarebbe riuscito a superarlo e ad avere un potere ben più grande del suo.
Essi perciò rappresentano simbolicamente il mondo antico e il paganesimo in
declino, mentre la cristianità raffigurata nella scena della Natività si trova
in primo piano perché essa costituisce il presente ed il futuro del mondo.
Giotto, La Natività di Gesù
Giotto, La Natività di Gesù, affresco (200x185 cm) databile al 1303-1305 circa, Cappella degli Scrovegni a Padova.
Come fonti delle scene cristologiche Giotto usò i Vangeli,
lo Pseudo-Matteo, il Protovangelo di Giacomo e la Leggenda Aurea di Jacopo da
Varazze. Un paesaggio roccioso fa da sfondo alla scena della
Natività, tutta incentrata in primo piano. Maria è infatti distesa su un
declivio roccioso, coperto da una struttura lignea, ed ha appena partorito
Gesù, mettendolo, già fasciato, nella mangiatoia, aiutata da un'inserviente,
davanti alla quale spuntano il bue e l'asinello. Giuseppe sta accovacciato in
basso dormiente, come tipico dell'iconografia, a sottolineare il suo ruolo non
attivo nella procreazione; la sua espressione è incantata e sognante. Il manto
di Maria, un tempo azzurro lapislazzuli steso a secco, è andato oggi in larga
parte perduto, scoprendo la stesura sottostante della veste rossa. A sinistra
si svolge l'annuncio ai pastori, due, raffigurati di spalle vicini al proprio
gregge, mentre dall'alto un angelo li istruisce sull'evento miracoloso. Altri
quattro angeli volano sopra la capanna e rivolgono gesti di preghiera al
fanciullo nato e a Dio nei cieli. Originale è il taglio prospettico dell'architettura, capace
di rinnovare la statica tradizione bizantina dell'iconografia. Solide sono le
figure, soprattutto quella della Madonna e quella di Giuseppe, che fanno
pensare a modelli scultorei, di Giovanni Pisano. La tensione della Madonna
nell'azione e l'attenzione che essa rivolge al figlio sono brani di grande
poesia, che sciolgono in un'atmosfera umana e affettuosa il racconto sacro.
L'inserimento delle figure nello spazio è efficacemente risolta e gli
atteggiamenti sono spontanei e sciolti, anche negli animali. Delicate sono le tonalità dei colori, che spiccano
sull'azzurro del cielo (in questo caso danneggiato), armonizzandosi con le
altre scene della cappella.
Giorgione, L'Adorazione dei pastori
Giorgione (Giorgio Gasparini) L'Adorazione dei pastori o anche Natività Allendale; è un dipinto a olio su tavola, 90,8x110,5 cm, databile al 1500-1505 circa e conservato nella National Gallery of Art a Washington.
L'opera era nelle collezioni del cardinale Fesch a Roma, che
vennero messe all'asta nel 1845. La tavola di Giorgione finì a Parigi e poi in
Inghilterra, dove entrò nelle collezioni dei baroni di Allendale a Bretton
Hall, nello Yorkshire. Nel 1937 fu di nuovo messa in vendita e, acquistata dai
Duveen Brothers, fu comprata da Samuel H. Kress, che nel 1939 ne fece dono alla
nascente galleria nazionale americana. Lo scenario venne ripreso dalla Pala di Asolo di Lorenzo
Lotto nel 1506, per cui si è soliti datare l'opera al 1500-1505, vicino alla
Sacra Famiglia Benson della quale riprende alcuni elementi compositivi. Come
molte delle opere di Giorgione l'attribuzione è ormai consolidata, ma talvolta
messa in dubbio, proponendo i nomi di Giovanni Bellini o del giovane Tiziano.
L'opera si può dividere in due parti: a destra la grotta
scura della natività, dove si trova la Sacra Famiglia raccolta e verso la quale
si affacciano i due pastori; a sinistra si trova un ampio paesaggio, con
qualche piccolo episodio di quotidianità. Qualche cherubino appare in alto,
vicino al soffitto della grotta. La luce diventa ora incidente, sulle vesti luccicanti, in
special modo quella di Giuseppe, ora tenue e soffusa. Tipicamente giorgionesca
è la predominanza del colore, che determina il volume delle figure, steso in
strati sovrapposti senza il confine netto dato dal contorno, che tendono così a
fondere soggetti e paesaggio: si tratta degli effetti atmosferici del tonalismo
che ebbe proprio nel maestro di Castelfranco uno dei fondamentali interpreti.
Domenico Ghirlandaio, Natività e adorazione dei pastori
Domenico Ghirlandaio, Natività e adorazione dei pastori, 1485; dipinto su tavola; cm 167 x 167. Firenze, Basilica di Santa Trinita, cappella Sassetti.
Eseguita tra il 1483 e il 1485, la pala d'altare della Cappella Sassetti presso la chiesa di Santa Trinita a Firenze, si inserisce all'interno dello splendido ciclo di affreschi commissionato dal banchiere Francesco Sassetti per adornare la cappella che avrebbe ospitato le sepolture sue e della moglie Nara. Il ciclo venne realizzato seguendo un preciso percorso iconografico ideato dagli umanisti Agnolo Poliziano e Bartolomeo Fonzio. Densa di particolari simbolici, la pala di Santa Trinita si colloca inequivocabilmente all'interno della cultura umanistica fiorentina del periodo laurenziano. A partire dallo sfondo dove si intravedono due città identificate come Gerusalemme (sulla destra) e Roma (al centro), per proseguire con la scena centrale dove appoggia un antico sarcofago che recita la profezia di Fulvio secondo cui dal sarcofago che racchiude le sue spoglie sorgerà un dio, chiaro riferimento al trionfo della cristianità sul paganesimo. Chiara allusione cristiana anche nella figura del cardellino in primo piano, simbolo della passione e resurrezione di Cristo. Ma non mancano anche i riferimenti terreni, in particolare legati alla famiglia dei committenti. I sassi in primo piano richiamano infatti l'emblema della famiglia Sassetti, peraltro identificata (Francesco e Nara) nei pastori in preghiera rappresentati nel ciclo di affreschi circostanti la Pala. La Pala d'Altare della cappella Sassetti può essere considerata una delle opere più significative di Domenico Ghirlandaio dove il Maestro esprime in tutta la sua potenza l'acuto intuito per i colori, la grande capacità di disegnatore e ritrattista, nonché la profonda conoscenza del simbolismo umanistico, compenetrato della lezione nordica introdotta dalla presenza a Firenze del Trittico Portinari di Hugo van der Goes.
Andrea Mantegna, L'Adorazione dei pastori
Andrea Mantegna, L'Adorazione dei pastori, 1450-51: tempera su tavola trasferita su tela; cm 40 x 55,6. Metropolitan Museum of Art di New York.
L'opera di piccolo formato viene in genere attribuita alla
fase giovanile dell'attività di Mantegna, in particolare la si ritiene
commissionata da Borso d'Este in occasione del secondo soggiorno dell'artista a
Ferrara del 1450-1451.Trasferito in epoca imprecisata da tavola e tela, il dipinto
subì una perdita di piccole dimensioni nell'estremità destra. Citato forse in un inventario di Margherita Gonzaga del 1586
come "Prosepio de Andrea Mantegna", passò poi al cardinale Pietro
Aldobrandini, che lo tenne a Villa Aldobrandini a Montemagnapoli, e poi ai suoi
discendenti. In via ereditaria entrò nelle collezioni Pamphili, poi Borghese.
Nel 1792 fu venduto pervenendo sul mercato londinese. Dopo vari passaggi di
proprietà nel Regno Unito, nel 1925 venne acquistato a New York da un privato
che lo donò poi al museo. La scena è ambientata all'aperto, con la Madonna al centro
che adora il Bambino inginocchiata su un gradino di pietra, mentre a sinistra
san Giuseppe dorme e a sinistra due pastori si inarcano in preghiera. Il sonno
di san Giuseppe, rappresentato in disparte, ricorda la sua funzione
esclusivamente di custode della Vergine e del Bambino. Il colloquio tra Vergine
e Bambino, circondati da angioletti che solennizzano l'evento, è caratterizzato
da una notevole intimità. Gesù è sapientemente raffigurato di scorcio, un tipo
di veduta virtuosistica che ricorre nella produzione di Mantegna. All'estremità sinistra si trova un giardino recintato
(riferimento all'hortus conclusus che simboleggia la verginità di Maria), da
cui si affaccia il bue, e alcune assi che fanno immaginare la capanna dove è
avvenuta la natività. A destra è protagonista l'ampio paesaggio, che si apre in
profondità, incorniciato da due montagne fatte di rocce a picco. In lontananza,
a destra, si vedono altri pastori (uno sta accorrendo a rendere omaggio al
Bambino) e un grande albero che sembra ricordare la forma della Croce del
Calvario, presagendo la Passione di Cristo. Alcune incertezze nell'impianto prospettico fanno collocare la tavola vicino ai primi affreschi della cappella Ovetari, in particolare le prime scene delle Storie di san Giacomo (1448-1450), mentre l'attenzione al dettaglio viene spiegata con l'influsso della pittura fiamminga, che Mantegna aveva sicuramente avuto modo di osservare nelle collezioni estensi, forse conoscendo anche direttamente Rogier van der Weyden. Gli stessi ritratti dei pastori, ispirati a un gusto grottesco, rimandano ad esempi nordici, con l'insistenza sulle rughe dei loro volti o su dettagli realistici come il labbro leporino di uno dei due.
ARMANDO SODANO
Il tema della nascita di Gesù è presente nelle raffigurazioni artistiche già a partire dal IV secolo d.c., testimonianza esemplare è il mosaico che riproduce i Re Magi, a Ravenna, in Santa Apollinare Nuovo. Le prime rappresentazioni si rifacevano esplicitamente ai Vangeli di Luca e Matteo: il Bambino, la Madonna, San Giuseppe, l’Angelo che veglia e i pastori erano i personaggi fondamentali e costituivano il nucleo fondante della Natività. Nel corso dei secoli il tema si arricchisce di particolari e di personali rivisitazioni da parte dei vari artisti che affrontarono tale soggetto
Il mosaico che riproduce i Re Magi, a Ravenna, in Santa Apollinare Nuovo.