Non siamo più abituati al silenzio. Un noto passo della Scrittura racconta l’incontro di Elia con Dio sul monte Oreb avvenuto non nel frastuono, ma nel silenzio e nella quiete.
|
Di Rosanna Tabasso,
già pubblicato da Arsenale della Pace |
Ed ecco che il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo, da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco, il sussurro di una brezza leggera. Come l’udì Elia si coprì il volto con il mantello. Uscì e si fermò all'ingresso della caverna. Ed ecco venne a lui una voce che gli diceva: che cosa fai qui Elia?
(1Re 19,11-13) |
La Sacra Scrittura al cap. 19 del primo libro dei Re presenta Elia che fugge verso l’Oreb, dove incontra Dio e riceve la missione che dovrà compiere. Nel Regno del Nord - siamo intorno all’ 850 a.C. – il re Acab e sua moglie Gezabele avevano introdotto il culto di Baal. L’autore sacro ci racconta al cap. 18 come Elia sul monte Carmelo sconfigge e distrugge i profeti di Baal. Naturalmente si sente fiero e protagonista perché ha riportato la verità. Gezabele si infuria e promette che Elia sarà ucciso entro una giornata. Elia si impaurisce e fugge nel deserto.
Elia aveva fatto tutto per Dio, ma non aveva ancora capito che era Dio a voler fare tutto per lui. E c’è voluta una crisi, c’è voluta una prova, c’è voluto un momento duro perché questo uomo, pieno di zelo per il Signore, si fermasse e interrompesse la sua “guerra santa”. Allora Dio lo conduce nel deserto e lì Elia apre il suo cuore, parla a Dio: “Basta Signore, prendi la mia vita, perché non sono migliore dei miei padri”. (1Re 19,4)
Inizia a ripensare a sé. Dice la Scrittura che il sonno lo coglie; ma più che un sonno è una fuga, è un desiderio di morte. È voler lasciare la missione per cui si era sentito chiamato da Dio. È successo anche agli apostoli, nell’orto degli ulivi, quando Gesù si preparava alla Passione: non son stati capaci di vegliare, si sono addormentati. Si reagisce a volte così, quando si avverte il fallimento. Elia pensa che sia per lui l’inizio della fine. Pensa realmente alla morte.
Ma Dio ha preparato per lui altre strade. Ci sarà una morte, sì, ma non quella fisica. Ci sarà la morte di se stesso, la morte del suo orgoglio, morirà il suo sentirsi “giusto servitore di Dio”. Dovrà passare attraverso il deserto, purificare il suo cuore e imparare la strada dell’umiltà, perché l’umiltà è la sola strada che conduce a Dio. Dio non si lascia trovare se non da un cuore umile. Dio non forza mai la mano, ma prepara; a volte permette che questa preparazione passi anche attraverso eventi drammatici, come è successo ad Elia, ma anche nella prova più grande non si allontana mai dall’amico.
Così, nel deserto, il deserto del suo cuore più che quello di sabbia, Dio manda ad Elia un angelo a nutrirlo. Il comando è perentorio: “Alzati e mangia” (1Re 19,5), non sei qui per morire. Alzati e mangia, alzati, ascolta la mia parola, nutriti della mia parola, e cammina. La professione di fede di Israele “Ascolta Israele, il Signore è il nostro Dio” (Dt 6,4) è ciò che è chiesto ad Elia nel tempo di deserto della sua vita. Elia deve ascoltare. Con la forza di quel cibo camminerà 40 giorni, 40 notti fino al monte di Dio, all’Oreb. Ripercorrerà il viaggio di Mosè e del popolo nel deserto, il viaggio della salvezza, verso la terra promessa. Lo rivivrà sulla sua pelle: anche là il popolo era stato nutrito da Dio con la manna; anche là Mosè aveva implorato Dio che scaturisse acqua dalla roccia. Anche là Mosè era salito fino all’Oreb, da solo. E lì, da solo, aveva visto Dio faccia a faccia, mentre la sua gente rimasta a valle, costruiva il vitello d’oro - ancora una divinità pagana - e tradiva il Dio unico di Mosè. Ma intanto Mosè aveva incontrato Dio faccia a faccia. Elia ripercorre la strada di Mosè, la strada della salvezza del popolo di Israele, e si ritrova sul monte, chiuso in una caverna, per passare la notte.
La caverna, quasi come un utero dove rinascere un’altra volta. Così avviene nella vita spirituale di ognuno di noi, quando ci si ritira in deserto: si arriva ad un tempo in cui si rinasce. Elia si è rifugiato in una caverna per passare la sua notte. La notte è il tempo in cui non si vede nulla, e si attende la luce dell’alba. È il tempo della ricerca, il tempo dell’attesa.
Lì Dio si rivela a Elia. Gli rivolge la Sua Parola: “Che fai qui Elia?”. Nei deserti della nostra vita, nel buio della notte della nostra fede, la parola di Dio prima o poi, arriva sempre, ci trova sempre e non passa senza che una traccia resti nella mente e nel cuore di ognuno di noi. Se ascoltiamo. La parola di Dio, piano, piano, aiuta Elia a fare luce dentro di sé, a fare la verità, anche di se stesso. E mentre Elia spiega a Dio ciò che è successo, comprende meglio se stesso, si spiega: “Sono qui, Signore. Sono pieno di zelo per Te. Io voglio servirti, io volevo liberare questa terra dagli dei stranieri, Signore, ma tutti Ti hanno abbandonato. Sono rimasto solo, cercano di togliermi la vita”.
Elia non si nasconde più la verità, non si nasconde più la sua paura, non pensa più a morire. Finalmente guarda dentro di sé. Guarda se stesso e comincia a leggere la storia di Dio nella sua vita. È pronto finalmente ad incontrare Dio: faccia a faccia. Il Signore lo chiama di nuovo: “Esci, fermati lì, alla mia presenza”. Elia adesso è pronto, attende il Signore nella sua vita; lui che aveva fatto tanto per Dio adesso, fermo, nella notte, nella caverna, in silenzio, finalmente attende l’incontro personale con Dio.
Non sa come riconoscere la Presenza; si rifà alla tradizione del suo tempo e aspetta che Dio gli parli attraverso qualche evento atmosferico: un uragano, un terremoto, un fuoco. Ma Dio parla al cuore, ed Elia avverte la Presenza di Dio “nel sussurro di una brezza leggera”. È una presenza forte, viva, tutta per lui ed Elia si copre il volto con il mantello. Mosè si era tolto i sandali quando aveva avvertito la Presenza nel roveto che ardeva e non bruciava. Quando si incontra Dio ci si copre sempre il volto parchè l’incontro con Lui ci rivela la nostra povertà, la nostra fragilità, il nostro peccato, la nostra inadeguatezza: non siamo mai pronti ad incontrare Dio.
Elia lascia tutto, si ritira in un luogo deserto, silenzioso, lontano da tutti e lì comprende che il Dio di Israele è il suo Dio, comprende che Dio è Dio per lui. Noi dovremmo conoscere “il sussurro di brezza leggera”, dovremmo riconoscere il tocco di Dio, perché l’abbiamo tante volte avvertito nella nostra vita e tante volte l’abbiamo incontrato nei passi del Nuovo Testamento, leggendo la vita di Gesù. Quante volte questo soffio passa da Gesù a qualcuno dei suoi amici, fino al soffio dello Spirito che Gesù risorto dona ai suoi riuniti nel Cenacolo. Eppure anche noi facciamo una gran fatica a cercare spazi di silenzio. Anche noi facciamo fatica a ritirarci da qualche parte, soli, con noi stessi, a cercare l’incontro con Dio. Forse perché abbiamo paura di trovare la miseria che c’è dentro di noi, come aveva paura Elia. Eppure è solo lì che avviene l’incontro.
Quando incontriamo Dio faccia a faccia, quando nel nostro cuore si realizza questo incontro, non siamo più quelli di prima. Come succede a Elia, siamo pronti a riprendere la strada. Elia riceve subito il mandato da Dio: viene riconfermato. Dio gli dice: “Su, ritorna sui tuoi passi”. Gli svela che non è rimasto il solo a credere in Lui, ma che si è riservato un resto: vai da quel resto di gente che mi sono riservato, torna a essere il loro profeta. L’incontro personale con Dio non ci allontana mai dalla gente, non ci allontana mai dalla nostra missione. Anzi, è solo quando incontriamo Dio che incontriamo veramente noi stessi e che incontriamo veramente la missione.
Ogni volta che accogliamo la Parola capita anche a noi di ripercorrere la storia della salvezza, di ritrovare le ribellioni, i tradimenti, le fragilità di chi ci ha preceduto e di trovare anche la nostra vita. E capita anche a noi di ritornare a Dio con tutto il cuore. Questo è ciò che la Parola produce in noi ogni volta che l’accogliamo con il cuore umile che Dio cerca di donare al suo profeta più grande, a Elia. Ho sperimentato tante volte nella mia vita, che devo solo all’incontro con Dio se sono stata vicino alla gente, vicina alle persone che hanno bisogno di me.
Quando si conosce un Amore grande, non si desidera altro che di comunicarlo a tutti quelli che si incontrano. Mi ripeto che vale la pena cercare del tempo per ritirarci in qualche caverna, per ritirarci un po’ dentro noi stessi, e nel silenzio lasciare che Dio faccia rinascere in noi la sua profezia per il nostro tempo.